Iter per ottenere la certificazione: 100% Made in Italy
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un'azienda produttrice di pasta fresca intende ottenere una CERTIFICAZIONE 100% MADE IN ITALY per dare al consumatore una garanzia di qualità dei prodotti e valore rispetto a prodotti esteri che invadono il nostro mercato.
So che i requisiti cogenti sono: prodotti realizzati interamente in Italia e lavorazione tradizionale tipica italiana, che non mancano all'azienda.
Ma qual è l'esatto iter da seguire per ottenere questa certificazione? Contattare l'Istituto per la Tutela dei Produttori Italiani? Quanto costa tutto questo?
grazie a chiunque mi fornisca delucidazioni
donato
Oggetto: Iter per ottenere la certificazione: 100% Made in Italy
Non mi risulta (ma potrei sbagliare) che il "mercato" delle certificazioni si sia esteso anche al MADE IN ITALY.
Peraltro, come sai, l'utilizzo di tale dicitura (come anche di altre frasi od immagini equivalenti) è attualmente regolato dalla legge 20 novembre 2009, n. 166 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee:
Art. 16. Made in Italy e prodotti interamente italiani
1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano. (come potrai notare, non si parla di ORIGINE DELLE MATERIE PRIME, tanto per essere chiari)
...
4. Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e' punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.
Quanto alla "lavorazione tipica italiana", scusa, ma che vuol dire? Con una certa fatica, potrei ammettere che tale pratica la si possa ritrovare nelle DOP, IGP, ecc. (ma, se non sbaglio, non è ciò di cui stiamo parlando). Mi piace ricordare le parole che G. De Giovanni ha dedicato all'(ab)uso del termine "artigianale" (circ. 168/03) e che possono senz'altro valere anche per la "lavorazione tipica italiana":
Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al D.P.R. n. 187/2001, talvolta viene fatto con una certa enfasi riferimento alla "produzione artigianale", come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore. ... E' vero che l'uso di diciture concernenti le caratteristiche del metodo di produzione costituisce una garanzia fornita al consumatore sul metodo, ma non si traduce, di regola, anche in un aumento della qualità del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche, nutrizionali, chimico-fisiche, organolettiche ed igienico-sanitarie.
Per un TA, le GMP o, tanto per restare nel Made in Italy, le Buone Pratiche di Lavorazione devono bastare.
Alf giustamente ribadisce la legge a cui far riferimento per le diciture sul made in italy ma in riferimento al comma 4, ti chiedo, il produttore può apporre liberamente e volontariamente l'indicazione di vendita "made in italy"? Può inserire sulla sua etichetta un logo con una notevole immagine raffigurante l'Italia e la scritta Made in Italy? O c'è bisogno prima di un controllo, approvazione da parte di un ente che attesti la veridicità dei segni e figure?
Leggendo l'etichetta (luogo di produzione e confezionamento) si capisce la provenienza italiana del prodotto ma diversa cosa è apporre un'immagine ampia e colorata con la dicitura made in italy.
Dopo circa 10 telefonate a camere di commercio e al mipaf mi è stato detto che non ci sono certificazioni ma mi consigliavano di accertarmi meglio chiamando associazioni di categoria.
per quanto riguarda il comma 4 ritengo che l'unico obbligo sia quello di poter dimostrare, a richiesta, che le immagini/diciture sono conformi alla legge.
Preciso, inoltre che la semplice lettura dell'etichetta non è sufficiente: come ben sai, la legge parla anche di "disegno e progettazione".
Infine, se persino il Mipaaf non è in grado di dare risposte certe su questi argomenti, vuol proprio dire che il virus della "certificazione" è ormai ingovernabile (e vedrai che, come ho accennato nella mia precedente risposta, molto presto, non appena annusato l'affare, qualcuno non tarderà a farsi vivo; nel caso, facci sapere).
Ho sempre sostenuto che sia l'uso della menzione "Made in Italy" sia quello delle successive, esemplificate al comma 4 della legge 166/09, prescinde dall'impiego di sole materie prime di origine italiana.
Ciò è pacifico per la prima menzione (ex comma 1).
Al contrario, nel citato articolo, l'amico Dario Dongo afferma che l'italianità delle materie prime sia necessaria per le menzioni del comma 4, in quanto tali menzioni "postulano" tale italianità.
A me non pare sia così, per due ragioni:
- Il comma 4 utilizza i termini "realizzato" e "realizzazione" i quali, mentre ben sintetizzano le quattro attività del comma 1 ( il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento ), non ritengo possano in alcun modo coinvolgere l'origine delle materie prime.
- Lo stesso comma 4 prevede l'uso fallace delle citate menzioni solo se queste vengono impiegate "al di fuori dei presupposti previsti ai commi 1 e 2", così ricadendo in quanto già affermato in precedenza per la menzione "Made in Italy".
Ho chiesto un commento all'avvocato Dongo: vi farò sapere.