HACCP distributori automatici di prodotti freschi/surgelati

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Oggetto: HACCP distributori automatici di prodotti freschi/surgelati

 

Ciao florentina e benvenuta! ^__^
 
Si tratta di una tematica interessante e potenzialmente utile per molti di noi. Tuttavia, come ogni concetto che non sia un dogma, per poter essere sviluppato correttamente necessita di maggiori dettagli.
 
Provando ad abbozzare una risposta commisurata alle scarse informazioni disponibili, potremmo partire da alcune considerazioni riguardo ai punti cardine del Sistema HACCP:
 
1) l'elaborazione di un Piano HACCP deve necessariamente iniziare dallo studio scrupoloso della natura dei prodotti e dei relativi processi produttivi.
 
Sembrerebbe banale come affermazione, ma fino a qualche tempo fa non era infrequente incorrere nelle opere dei "sarti" della sicurezza igienico-sanitaria; quei professionisti del taglia e cuci, in grado di riadattare il medesimo Piano HACCP a tutte le esigenze e a tutte le tasche...
 
Nel caso di un distributore automatico di alimenti, assumendo che i prodotti approvvigionati dall'OSA siano già confezionati e pronti per la vendita al consumatore finale, occorre individuare le corrette modalità di stoccaggio (generalmente, per ottimizzare i costi logistici e garantire continuità al servizio erogato, è consuetudine fare un minimo di scorte a magazzino), trasporto al punto vendita (i.e. il distributore automatico) e relativa conservazione presso il punto vendita medesimo.
 
Allo scopo risulta fondamentale il rispetto delle indicazioni riportate in etichetta dal produttore: generalmente viene richiesto il mantenimento della catena del freddo, oltre ovviamente al rispetto del termine minimo di conservazione o, laddove applicabile, della data di scadenza.
 
2) una volta valutati attentamente i potenziali pericoli, sulla base della specifica realtà operativa, si passa all'identificazione degli eventuali CCP, attraverso l'albero delle decisioni.
 
Benché la natura del prodotto, già confezionato e pronto per la vendita al consumatore finale, suggerisca implicitamente un probabile CCP riconducibile alla temperatura in fase di conservazione, é importante ponderare con cura tutti i potenziali pericoli... anche quelli di natura fisica e chimica.
 
3) Per ogni CCP eventualmente individuato si procede alla definizione del relativo limite critico, dei sistema monitoraggio, delle azioni correttive (da intraprendere in caso di superamento del limite critico), delle procedure di verifica ed infine delle registrazioni.
 
L'aspetto forse più interessante credo sia proprio l'individuazione di un idoneo sistema deputato al monitoraggio dei CCP: occorre stabilire le responsabilità (chi), le modalità (come) e la frequenza (ogni quanto) del monitoraggio.
 
Ed è in questo stadio che entra in gioco, in modo ancor più preponderante, la realtà operativa. Hai individuato, ad esempio, un CCP concernente la temperatura di conservazione ed il limite critico ad esso associato? Bene. Supponiamo sia quello suggerito in etichetta dal produttore. Occorre, pertanto, concentrarsi sulle modalità del monitoraggio.
 
Hai una sonda che rileva le temperature ad intervalli regolari di tempo ed un sistema informatizzato che le registra e che allerta l'OSA (per mezzo di allarmi sonori, luminosi, via sms, etc.) in caso di superamento del limite critico? Ottimo. Generalmente è consigliabile l'individuazione di valori di "pre-allerta", più restrittivi rispetto al limite critico, che consentono all'OSA d'intraprendere azioni atte al ripristino della normale operatività, senza necessariamente arrivare allo sforamento vero e proprio. Ma ciò che a noi interessa in questo momento é chi concretamente esegue il monitoraggio del CCP? E soprattutto, come e con che frequenza?
 
Per rispondere a questo tipo di domande (soprattutto all'ultima), generalmente, si ricorre a valutazioni sulla cinetica d'innalzamento della temperatura della cella che ospita il prodotto, noti anche come studi di correlazione tempo/temperatura. Presumibilmente, nel caso di un distributore automatico di generi alimentari, non credo che esso goda di una particolare inerzia termica; conseguentemente è assai probabile che la frequenza del monitoraggio sia piuttosto elevata.
 
Detto ciò, anche per quanto concerne le verifiche, é necessario valutare meticolosamente le modalità, le responsabilità e le frequenze, in particolare per:
 
- la verifica del responsabile del monitoraggio: atta ad accertare che il responsabile del monitoraggio esegua correttamente (e con costanza) il proprio incarico;
- la verifica strumentale: indispensabile al fine di valutare la correttezza delle letture strumentali ed escludere pericolose distorsioni della realtà operativa (generalmente questa verifica viene fatta affiancando un termometro certificato SIT alla sonda e valutando il "delta")
 
Ultima, non per importanza, la taratura periodica delle strumentazioni deputate al monitoraggio.
 
Infine, a corollario di quanto detto, penso sia fondamentale ribadire l'importanza della predisposizione di opportuni Prerequisiti Operativi. In particolare relativi a:
  • manutenzioni
  • formazione del personale
Spero di averti fornito qualche spunto utile e... che ne diresti di mantenerci informati sugli sviluppi del tuo progetto?
 
Bye bye!
Giulio
 
PS: Colgo l'occasione per sottolineare un aspetto che, a quanto pare, stenta a prendere piede: é importante assicurare al consumatore la possibilità di leggere l'etichetta dei prodotti prima dell'acquisto. Quando "non ci vede più dalla fame", il consumatore ha il sacrosanto diritto di poter leggere l'etichetta del prodotto che è intenzionato ad acquistare. Sarebbe pertanto opportuno prevedere, esternamente al distributore, repliche dell'etichetta dei prodotti o, meglio ancora, una sorta di libro ingredienti - chiaroaggiornato e posizionato ben in vista - pronto per una rapida consultazione.


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Parole chiave (versione beta)

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