Ciao cidrolin,
si tratta di un argomento alquanto interessante.
Le repliche campionarie aiutano a comprendere appieno i reali valori analitici che stiamo riscontrando nel prodotto.
Le singole analisi, seppur economicamente vantaggiose per l'amministrazione aziendale, sono solo un'indicazione di massima che possono portare, nella loro inferenza, ad incorrere in gravi problemi (es. decadimento dei prodotti, rischi igienico sanitari, perdite da un punto di vista della qualità, etc.)
Dal mio punto di vista, la numerosità delle unità campionarie, oltre a normative specifiche (es: Reg. CE 2073/2005 e successive modifiche ed integrazioni), va ponderata sulla base dei volumi produttivi (i.e. maggior volume = maggiori unità campionarie. Esempio: alcuni Enti di Controllo utilizzano la radice quadrata del numero dei pezzi della produzione di un determinato periodo come numero di unità campionarie), sulla base dei CCP inerenti l'alimento (sia per micro che nutrizionali) e anche in relazione a specifici claim (es: solo il 12% di grassi, etc.) per avere "le spalle coperte".
Tutto questo, fermo restando che il metodo di campionamento può essere svolto su lotto/i in modo statistico (con numerosità secondo tabella del t student...) o campionando in modo casuale.
Mattia