Caro trentino,
la faccenda degli ingredienti “volatili” non mi ha mai convinto.
Oltre ai riferimenti che hai citato, ci si mette anche De Giovanni (circol. 165/00: Nel caso di ingredienti volatili, quale lo champagne nei prodotti da forno, la quantità percentuale è indicata in funzione del peso nel prodotto finito. Mi piacerebbe sapere quanto champagne rimane dopo cottura...).
Il problema è legato al fatto che non esiste, a mia conoscenza, una definizione di “volatili”: come risulta chiaramente dai tuoi esempi, moltissime sostanze hanno una componente volatile; inoltre, la volatilità dipende dal processo di lavorazione (es. temperature).
Peraltro, va detto che, nella maggior parte dei casi, la componente volatile è costituita da acqua, per la quale valgono le specifiche indicazioni di calcolo.
Cosa rimane? Stando a quello che scrive De Giovanni, verrebbe da pensare che tutta questa faccenda dei volatili sia legata, essenzialmente, agli ingredienti contenenti alcol (o simili).
Di più non saprei dire.
Colgo l'occasione per proporre un altro argomento di riflessione:
“ ingrediente”: qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati come ingredienti.
(Anche sul concetto di “residui” sarebbe interessante soffermarci, ma non è di quello che intendo ora parlare)
Dunque, se io utilizzo una sostanza per fabbricare un prodotto, ma non la ritrovo nel prodotto finito, non la devo indicare: PERCHE?
L'elenco degli ingredienti serve al consumatore per conoscere come ho fabbricato il prodotto o cosa c'è dentro? (In quest'ultimo caso, si dovrebbe parlare non di ingredienti, ma di componenti.)
Prendiamo, ad esempio, il carbonato d'ammonio (E 503) utilizzato quale agente lievitante nei prodotti da forno.
Supponiamo che venga utilizzato soltanto E 503: posto che, a quanto mi risulta, dopo cottura, non residua nulla nel prodotto finito, il consumatore, leggendo l'elenco ingredienti, scoprirebbe che il prodotto è lievitato per magia!
D'altro canto, che dall'elenco ingredienti possano risultare mancanti delle voci non si limita a questo aspetto.
Vogliamo parlare delle omissioni ammesse (art. 7 del 109/92, ora art. 20 dell'1169/11)?
Così scriveva, anni or sono, il prof. Carlo Correra, riferendosi al citato art. 7:
In tal modo il consumatore viene lasciato all’oscuro dell’effettiva e completa composizione della sostanza alimentare di cui si è indotto all’acquisto e al consumo.
In virtù di questo «esonero per legge» dall’obbligo di indicazione gli potrà così capitare di consumare anche:
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additivi «veicolati», ovvero presenti in uno o più ingredienti del prodotto da lui acquistato e che non svolgono più alcuna funzione nel prodotto finito (concetto questo quanto mai elastico, aggiungo io!);
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residui di coadiuvanti tecnologici o di derivati da coadiuvanti lecitamente adoperati e tecnicamente inevitabili, senz’altro pure senza effetti tecnologici sul prodotto finito e, in linea generale, anche privi di rischio per la salute;
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sostanze lecitamente usate come solventi o supporti per gli additivi e per gli aromi e sostanze il cui uso sia persino «prescritto» dalla legge perché destinato a svolgere, nel prodotto finale, un ruolo di «rivelatore».
Orbene, non si riesce a comprendere quale motivazione socialmente e moralmente apprezzabile abbia indotto ad emanare per questi casi una disposizione che volutamente tenga all’oscuro il consumatore della presenza di queste sostanze nell’alimento o bevande che si accinge a consumare personalmente o a far consumare da altri. Potrebbero infatti esistere esigenze dietetico-alimentari particolari o, comunque, personali per indurre lui stesso o terzi ad astenersi dal consumare alimenti in cui comunque vi siano quelle sostanze che la norma in questione legittima a tacere.
Appare, questa, una «filosofia» ingiustificatamente sbilanciata a considerare le sole esigenze del fabbricante e non di chi cimenterà la propria o altrui salute attraverso il prodotto alimentare in questione e, quindi, attraverso i suoi componenti.
Che ne pensano i TA?