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Prima di parlare di Marketing Agroalimentare occorre porre delle basi comuni che spaziano dalla Statistica di Base alle Ricerche di Mercato; dalle Tecniche di Comunicazione alla Pianificazione Aziendale; e così via... In queste prime discussioni del topic "Food Marketing" ci occuperemo, pertanto, di fare qualche premessa che speriamo possa risultare utile.
Si fa un gran parlare di Sistema Agroalimentare, ma di cosa si tratta effettivamente?
Negli anni passati sono state fornite numerose definizioni; queste sono state via via migliorate ed integrate, focalizzando maggiormente l'attenzione sul consumatore finale. Nel 1975, Galizzi identifica il sitema agroalimentare con "...l'insieme delle funzioni che concorrono al soddisfacimento di un nuovo bisogno alimentare". In questa definizione si fa riferimento anche ad un nuovo concetto importante e cioè il passaggio dal concetto di "food security" (concetto quantitativo tipico dei paesi in via di sviluppo, in cui la sicurezza alimentare è intesa come garanzia di approvigionamento minimo) a quello di "food safety" (concetto qualitativo tipico dei paesi industrializzati, in cui la sicurezza alimentare è intesa in senso igienico-sanitario).
Quando parliamo di Sistema facciamo riferimento ad un insieme di più elementi interdipendenti tra loro sulla base di determinate leggi. Diverso è il concetto di Settore che, come suggerisce il nome, identifica qualcosa che "taglia", che "seziona" (senso orizzontale); mentre per Filiera intendiamo una sequenza di processi che, partendo dalla materia prima, ci consentono di arrivare al prodotto finito (senso verticale).
Schematicamente, potremmo dire che il Sistema Agroalimentare sia costituito dalle Imprese di Produzione Primaria; dalla Industria Alimentare (che opera la lavorazione o la trasformazione); dall'Ingrosso (cioè i grossisti); dal Dettaglio Tradizionale; dalla GDO (ossia la Grande Distribuzione Organizzata). A questo mi permetterei di aggiungere il canale HO.RE.CA. (acronimo per Hotel Restaurant and Catering). All'interno di questo Sistema, andando in senso verticale, possiamo identificare le differenti filiere (ad esempio la filiera del latte); mentre tagliando orizzontalmente il sistema possiamo identificare i
differenti settori (ad esempio il settore lattiero-caseario).br>
Venendo incontro alle esigenze del consumatore moderno, i prodotti alimentari sono soggetti ad un numero sempre maggiore di processi di trasformazione prima di essere commercializzati. Aumenta cioè il grado di industrializzazione ed il contenuto di servizio dei prodotti alimentari e con essi il valore aggiunto; a fronte però di una sensibile diminuzione del costo della materia prima. Questo fenomeno (ossia l'allargamento del divario tra prezzo alla produzione e prezzo al consumo) è dovuto in gran parte al maggiore potere contrattuale da parte della GDO che si trova più a valle nella filiera, ma anche a causa dell'estrema polverizzazione (troppe aziende troppo piccole) del settore primario (ma anche secondario) italiano, che comporta l'impossibilità di attuare opportune economie di scala che consentano di contenere i costi.
Nella prossima dichiarazione parleremo della Distribuzione che anche in Italia sta acquisendo sempre maggiore importanza.
See you soon! Giulio
Oggetto: Concetti introduttivi sul Settore Agroalimentare
Un canale distributivo è costituito dall'insieme di operatori che svolgono le funzioni atte a trasferire un prodotto (inteso come bene o servizio) ed il relativo titolo di proprietà dal produttore al consumatore finale. Gli operatori in questione sono suddivisibili in due categorie principali:
- I venditori: che agiscono per conto dei produttori, negoziando i prodotti senza acquistarli effettivamente. Sono un esempio le reti di vendita di alcune imprese. - Gli intermediari commerciali: che invece acquistano e rivendono i prodotti. Sono un esempio i grossisti ed i dettaglianti.
A seconda della lunghezza del canale distributivo, gli operatori sono soliti parlare di canale lungo, di canale corto e canale diretto. I tre schemi che ci accingiamo a descrivere rappresentano delle semplificazioni: esistono, infatti, numerose varianti che tuttavia non prenderemo in esame ora.
- Il canale lungo è caratterizzato dalla presenza dei dettaglianti, che acquistano i beni da rivendere ai propri clienti, presso i grossisti. Quest'ultimi, a loro volta, si riforniscono presso i produttori. - Il canale corto, invece, è caratterizzato dalla presenza di un unico operatore che si rivolge ai propri clienti, approvvigionandosi direttamente presso i produttori. - Il canale diretto è invece quello in cui il produttore vende direttamente al cliente senza intermediari di nessun tipo (in ambito alimentare è però poco diffuso).
Generalmente tanto maggiore è il valore unitario del prodotto (VUP), maggiore sarà il margine di guadagno unitario e pertanto maggiori saranno i costi che l'azieda potrà sostenere per arrivare direttamente al consumatore finale (cioè l'azienda produttrice avrà più possibilità di ricorrere al "canale diretto"). Viceversa, minore sarà il VUP, maggiore sarà la necessità di ricorrere a degli intermediari commerciali. Tutto questo è strettamente correlato con le risorse finanziarie dell'impresa, con le dimensioni (che le possano consentire di contenere i costi attraverso le opportune economie di scala, etc. Altri parametri importanti che determinano la scelta del canale distributivo sono: la deperibilità o meno del prodotto; la dimensione e la collocazione geografica del mercato di riferimento; la frequenza di acquisto dei clienti;...
La distribuzione generalmente è contraddistinta da alcuni parametri fondamentali:
1) Il formato distributivo: che sta ad indicare la dimensione del punto vendita oltre che il "target" di clienti a cui si rivolge (cioè la "vocazione di mercato"). Parliamo ad esempio di Superstores, Impermercati, Supermercati, Discounts, Superettes, Tradizionali, etc.
2) L'insegna distributiva: indica il marchio. Negli ultimi anni la GDO ha investito molto sull'insegna. Un esempio di insegne distributive sono: Coop, Conad, Wal-Mart, Metro, Carrefour, etc.
E' importante tenere presente che un'insegna può essere presente sul territorio con differenti formati distributivi (è il caso, ad esempio, di Coop con i suoi iper e supermercati).
Presto esamineremo più nel dettaglio il concetto di GDO, marca commerciale, etc.
Bye bye! Giulio.
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Come già accennato precedentemente, l'acronimo GDO sta per Grande Distribuzione Organizzata.
Essa ha acquisito negli ultimi anni grande importanza e credibilità anche in Italia. Basti pensare
ai prodotti a Marca Commerciale, detti anche Private Label (cioè tutti quei prodotti
recanti marchio di proprietà del distributore la cui fabbricazione è affidata ad Imprese
Industriali), che hanno cessato di essere visti come dei prodotti di fascia economica (competitivi
cioè solo sulla base del prezzo). Oggi, molti prodotti a "marca commerciale" non possono più essere
considerati dei semplici "follower", ma dei veri "leader" di mercato. Si è passati cioè dal ruolo di
semplici imitazioni (o "me too", all'inseguimento cioè dell'altrui innovazione e qualità) a prodotti
studiati ed imitati.
Occorre, tuttavia, tenere presente che i prodotti Leader sono
considerati tali anche sulla base della quota di mercato occupata, del fatturato e dei volumi di
vendita, ne consegue che il grande potere della GDO nei confronti delle tradizionali Imprese
Alimentari abbia influito in questo senso. I prodotti a risentire maggiormente della competizione
delle Private Label sono soprattutto quelli di fascia media, che hanno a disposizione budget
inferiori per la promozione, l'innovazione e soprattutto per il "placement" (=posizionamento) sullo
scaffale dei punti vendita della GDO.
I vantaggi dell'introduzione della Private Label per la
GDO sono molteplici: maggiore integrazione verticale, garantendo perciò una minore dipendenza
dalle imprese industriali e conseguenti migliori condizioni economiche; maggiore redditività
rispetto ai prodotti industriali; fidelizzazione del consumatore all'insegna commerciale di
riferimento; maggiore capacità di differenziazione rispetto alle altre insegne e migliore capacità
di adattare il prodotto alle esigenze dei clienti. A tutto questo si associa però una maggiore
esposizione da parte della GDO verso i clienti; questo determina la necessità di oneri maggiori in
promozione, ricerca e sviluppo (R&D), oltre che logicamente la necessità di maggiori garanzie da
parte dei produttori per conto della GDO.
Nasce così l'esigenza di standard comuni. Per far
fronte a questo problema vengono introdotti delle certificazioni che sono richieste dalla GDO ai
produttori di prodotti a marchio commerciale. Un esempio di queste certificazioni sono ad esempio la
BRC (British Retail Consortium); IFS (International Food Standard); etc.
Alla prossima!
Giulio
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