Non sempre la cottura è un CCP! Partiamo dalla caratterizzazione del rischio e immaginiamo che ci siano anche contaminanti chimici che non sono termolabili. Per esempio le aflatossine. Si sconvolge quello che è l'approccio normalmente adottato, ma di questi tempi forse si dovrebbe capire che i modelli standard non funzionano. In più utilizziamo quello che già 18 anni fa veniva proposto dal vol. 7 dell'ICMSF, ossia il concetto di FSO. Si parte dalla concentrazione iniziale dell'agente contaminante, che può essere dimnuito da vari interventi corretti ma anche aumentato da possibili situazioni negative.
Riguardiamo tutto quanto detto nella domanda in questa prospettiva e domandiamoci quale risultato possiamo ottnere e se è quindi sostenibile o accettabile.
Solo come parziale esemplificazzione proviamo ad ipotizzare le differenze su un microrganismo con carica iniziale 10, 1000 o 100000 (ufc/g: pensiamo alla conta di microrganismi alteranti), oppure se patogeno 1 100 o presente in 125 g (conteggio o presenza / assenza di un patogeno). Il trattamento con 5D, come può essere una pastorizzazione ottiene risultati completamente diversi se la partenza è bassa media od alta. Non ne parliamo se dopo il trattamento termico essiste la possibilità di reinquinare, cosa che spesso sottovalutiamo e si combatte solo con le GMP, spesso dimenticate.
Dettagli ed eccezioni sono troppi per descriverli tutti, qui si è provato solo a proporre l'approccio che si potrebbe adottare per definire il problema, con tutte le problematiche di reperire dati, concentrazioni reali e non analitiche, dati epidemiologici e non modelli predittivi.