Buonasera a tutti,
prima di partire con questo Dibattito, dedicato al Mondo della Qualità e degli Standard di Certificazione, che se affrontato frettolosamente potrebbe dare adito ad incomprensioni/frizioni (cosa che desidererei evitare categoricamente), sento il dovere di fare un'importante precisazione: amo tutto ciò che va sotto il nome di Qualità e sono convinto che le cosiddette Certificazioni - se sviluppate ed applicate con Rettitudine ed Equilibrio - possano costituire importanti strumenti per la crescita aziendale e, conseguentemente, contribuire allo sviluppo dell'intero Sistema Agroalimentare.
Premesso ciò, mi piacerebbe esaminarne insieme a voi lo Stato dell'Arte; ho infatti la sensazione (ma mi auguro con tutto il cuore di essere in errore) che gli Standard di Certificazione stiano lentamente perdendo concretezza, divenendo - anno dopo anno, revisione dopo revisione - più simili a strumenti di Marketing, per non dire vere e proprie leve di Potere; allontanandosi dall'originario nobile scopo: l'elevazione della Qualità e soprattutto della Sicurezza Igienico-Sanitaria.
Prima di essere lapidato dai numerosi fautori degli Standard che orami imperversano (o lodato dai pochissimi detrattori), desidero motivare le mie precedenti affermazioni, rimarcando che trattasi di mie personalissime opinioni, sviluppate sulla base di esperienze personali che, in quanto tali, sicuramente sono da ponderare con la dovuta cautela, ma che soprattutto non possono essere considerate universalmente applicabili.
Pertanto, mantenendoci lontani - come consuetudine qui su TAFF - da sterili critiche od inutili elogi, desidererei avviare, con il vostro prezioso contributo, un momento di riflessione e confronto.
Onde tentare d'arginare preventivamente le possibili incomprensioni, suggerirei inoltre di dotarci di un Vocabolario comune, in particolare con riferimento ai seguenti tre Concetti:
- gli Standard (diffusi anche nella forma di Norme Tecniche, Linee Guida e Raccomandazioni) stanno ad indicare quei Documenti finalizzati a stabilire Specifiche Tecniche e modus operandi, ai quali le Aziende aderiscono volontariamente;
- col termine Qualità (dal latino qualĭtas che deriva da qualis e che significa quale), che originariamente veniva inteso come la descrizione di una o più Proprietà riferite al modo d'Essere di un Ente, si intende oggi principalmente il grado con cui un insieme di Caratteristiche intrinseche soddisfa i Requisiti; o - più succintamente - come la conformità alle Specifiche, nonché alle aspettative dei Clienti;
- l'Omologazione (dal greco ομόλογος - homologos - traducibile come una convenzione) sta ad indicare l'uniformazione delle Caratteristiche, l'adattamento ad uno specifico Modello, con la conseguente perdita di tutte quelle peculiarità che originariamente contraddistinguevano l'Ente.
A vostro avviso, quale direzione sta assumendo la Qualità? L'Omologazione che sembrerebbe crescente - in particolare in conseguenza dell'applicazione di taluni Standard - ritenete possa costituire un pericolo concreto? E in caso affermativo, quali strumenti ritenete possano mettere in campo gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) per tentare di arginare tale deriva?
Personalmente inizio a credere che l'applicazione di Schemi (quantomeno quelli per certi aspetti eccessivamente rigidi) sia una chimera. Dopotutto la Storia lo insegna: i più grandi Uomini e le loro più grandi imprese sono state il frutto di deviazioni dagli Schemi, sintomo di un ripudio verso tutto ciò che è eccessivamente omologato e forzatamente uguale a sé stesso. La Realtà è varia e mutevole e pertanto difficilmente imbrigliabile entro rigidi Schemi ed automatismi.
Nutro, inoltre, altri dubbi a cui non sono riuscito a dare risposta: ad esempio mi chiedo a cosa serva - oggi come oggi - sostenere costi, talvolta di un certo rilievo (specie per i già fragili Bilanci delle nostre piccole/medie Imprese), e subire impegnativi Audit da parte di Enti di Certificazione, per poi vedere taluni Clienti (specialmente la Grande Distribuzione Organizzata - GDO... pur essendo promotrice di Standard) arrogarsi il diritto/dovere (dipende dai punti di vista) di auditare ugualmente il proprio Stabilimento?
Nella mia breve esperienza lavorativa, sono arrivato a sostenere gli Audit da parte dei Clienti, quelli di Clienti dei Clienti e - sembra quasi uno scioglilingua - quelli da parte di Clienti, di Clienti dei Clienti. Ed ho la sensazione di essere in buona compagnia: sempre più Colleghi/Amici mi confessano di trovarsi in situazioni paradossali come quella poc'anzi esemplificata.
Mi chiedo, inoltre, se i summenzionati Standard siano applicabili a tutte le realtà aziendali.. Se l'introduzione di un sempre maggior numero di controlli in ambito "volontario" (i.e. Tizio controlla Caio, che controlla Sempronio, etc.), nonostante i Controlli in ambito cogente (quelli veri da parte delle Autorità Competenti), contribuisca realmente ad accrescere la Sicurezza delle Produzioni Agroalimentari; oppure si tratti semplicemente di un condizionamento, un meccanismo perverso, tale per cui tutti controllano tutti, ma nello specifico si finisca per controllare con minor efficacia.
L'introduzione di sempre più requisiti da rispettare in ambito volontario (ma forse sarebbe il caso di discutere anche sul concetto di "volontarietà" quando entrano in gioco le trattative commerciali), contribuisce realmente ad accrescere la sicurezza? Oppure ritenete generi semplicemente caos e, conseguentemente, la necessità di avere sempre più arbitri... Figure "super partes" (o quasi) che verifichino tutto... E decidano su tutto e tutti. Non credete si corra il rischio concreto di arrivare - presto o tardi - alla saturazione del Sistema, a quello che in gergo informatico si definisce Buffer Overflow? Perdendo - di fatto - il Controllo (o, peggio, l'Autocontrollo) della situazione?
Non sarebbe forse preferibile tornare a poche semplici regole, a quel sano e sempre applicabile "Buon Senso" o, prendendo in prestito il vecchio e caro Diritto Romano, al comportamento del "Buon Padre di Famiglia" che ci ha accompagnato per secoli (i.e. Diligentia diligentis patris familiae)?
Fino a che punto uno Standard è adattabile al caleidoscopico Mondo reale e quando questo corre il rischio di divenire limitante, dannoso, per non dire asfissiante?
E se è vero che il buon senso dovrebbe sempre prevalere ed il bravo Auditor dovrebbe essere in grado di discernere tra cosa è realmente importante e ciò che non lo è (la concretezza di cui parlavamo prima); è altrettanto vero che uno Standard, per essere tale, dovrebbe disporre di "strumenti" atti ad impedire disomogeneità di giudizio causate dalle diversità d'interpretazione (i.e. che ciò che è consentito all'Azienda X non sia consentito - in un contesto analogo - all'Azienda Y).
Personalmente non dispongo di alcuna risposta ai dubbi di cui sopra, ma mi piacerebbe sentire i vostri Pensieri in proposito.
Un caro saluto,
Giulio De Simoni