Buongiorno,
riprendo l'antica questione della Dichiarazione Allergeni per una discussione "filosofica".
Allo scopo, riporto quanto scrive l'Avv. Dario Dongo nell'E-book intitolato 1169 PENE - REG. UE 1169/11. Notizie sui cibi, controlli e sanzioni (scaricabile gratuitamente, previa registrazione alla Newsletter di Great Italian Food Trade) all'interno del riquadro "FOCUS - Allergeni, informazione B2B" (pag. 25):
‘Gli operatori del settore alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non destinati al consumatore finale o alle collettività assicurano che a tali altri operatori del settore alimentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso, di adempiere agli obblighi’ relativi a ‘presenza ed esattezza delle informazioni fornite sugli alimenti’ (reg. UE 1169/11, articolo 8.8).
L’informazione relativa agli ingredienti allergenici, come è stato da ultimo ribadito nelle apposite Linee guida della Commissione europea, deve essere puntuale e specifica.
Il fornitore ha la primaria responsabilità di eseguire un’idonea attività di autocontrollo. Vale a dire applicare le buone prassi igieniche e l’HACCP, al preciso scopo di prevenire, controllare e mitigare ogni possibile rischio di contaminazione fisica, chimica e microbiologica che possa avere impatto sulla sicurezza del prodotto. Ivi compreso il rischio di contaminazione accidentale con allergeni che – pur non essendo impiegati nel processo di trasformazione del singolo alimento – siano presenti nei locali di produzione.
Soltanto qualora – a seguito di corretta esecuzione dell’autocontrollo – il fornitore non sia in grado di escludere il rischio di contaminazione accidentale da allergeni, esso è tenuto a fornire al cliente una specifica informazione, come di seguito.
La c.d. Precautionary Allergen Labelling (PAL) deve essere precisa, nel senso di:
- indicare che l’alimento ‘può contenere’ uno o più degli ingredienti allergenici singolarmente indicati in Allegato II al regolamento UE 1169/11 (così ad esempio, noci e mandorle e non ‘frutta secca con guscio’, ‘grano’ e non ‘glutine’),
- evitare di riferire a ‘tracce di’, poiché di esse manca alcuna definizione legale,
- evitare nel modo più assoluto di riferire notizie ambigue del tipo ‘prodotto in uno stabilimento dove sono presenti (o ‘si lavorano’)…’.
Tale ultima dicitura – oltre a risultare del tutto inidonea a informare i consumatori allergici – va intesa come una confessione, da parte del fornitore, circa l’inadeguatezza del proprio sistema di autocontrollo. E deve perciò venire sanzionata dalle autorità sanitarie di controllo.
Personalmente, dissento dall'Avv. Dongo (e dalla maggioranza degli addetti ai lavori) quando afferma che la dicitura "può contenere" sia l'unica corretta e di conseguenza preferibile a "prodotto in uno stabilimento ove...".
Anzi, la penso al contrario: secondo me scrivere "può contenere" significa ammettere di non avere sotto controllo (nell'accezione tecnica del termine) il processo.
Cosa pensereste se scrivessi "può contenere salmonella"? Non starei dicendo al Consumatore qualcosa come: << Beh, io ho fatto del mio meglio, ma magari un po' di salmonella è rimasta >>?
D'altronde, come da tipico Albero delle Decisioni, se non ho il controllo di una fase potenzialmente critica, dovrei modificare il Processo. Quindi se il mio attuale processo non è in grado di controllare il pericolo allergeni, dovrei modificarlo.
Mi sembra invece molto più corretta l'informazione "prodotto in uno stabilimento ove...": in questo caso io sto assicurando il mio Autocontrollo, ma per estrema trasparenza comunico al Consumatore il fatto che in Stabilimento ho alcuni allergeni.
Che ne pensate?
PS: l'unico caso in cui "può contenere..." mi sembra adeguato è nel caso di contaminazione da campo di un ingrediente (esempio soia in farina), ovvero una contaminazione (ormai) non più gestibile, in fase di prduzione primaria.