Tanto per complicare le cose, segnalo questa notizia.
Come si vede, la sentenza fa riferimento all'art. 517 c.p.: Vendita di prodotti industriali con segni mendaci.
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, …
La tesi difensiva, invece, ha fatto riferimento alla normativa doganale secondo cui il processo di lavorazione cui il prodotto era stato sottoposto in Italia (pastorizzazione e aggiunta di acqua e sale) era da considerarsi "lavorazione sostanziale", tanto da consentire di commercializzarlo come "doppio concentrato di pomodoro" "prodotto in Italia".
Non ho dubbi che la menzione “Made in Italy” avrebbe reso più accattivante il prodotto, ma l'episodio mi suggerisce alcune domande.
- Né l'accusa né la difesa hanno fatto riferimento alla legge 166/09, sebbene, mi pare, l'argomento in questione fosse proprio quello contemplato da questa norma. Perché?
- Cosa avrebbe reso più accattivante il prodotto? Il fatto che l'industria conserviera italiana può vantare una lunga tradizione o la convinzione che i pomodori “italiani” sono migliori?
- E poi: dato che Made in Italy vuol dire “fatto in Italia” dove sta la mendacia?
Come si vede la strada è ancora lunga...