Potabilizzazione dell'acqua mediante cloratore

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Oggetto:

Cari colleghi,

per gli stabilimenti che dispongono di acqua di pozzo è necessario assicurare che quest'ultima sia potabile. Tra le tecniche oggi in uso sicuramente la più frequente è l'aggiunta di Cloro (ad esempio sotto forma di Ipoclorito di Sodio).

La clorazione dell'acqua comporta tuttavia alcuni oneri aggiuntivi per l'azienda alimentare; essa deve infatti essere in grado di garantire che l'acqua venga trattata correttamente: il Cloro non deve essere aggiunto nè in difetto, nè in eccesso.

Vorrei pertanto sapere come vi comportate per assicuare la corretta clorazione dell'acqua.

Avrete senz'altro previsto dei controlli on-site con kit istantanei, con che frequenza fate i controlli? Oltre ai controlli avrete previsto una manutenzione ordinaria (da parte di ditta specializzata o personale specificatamente formato), in caso affermativo con che frequenza?

E per quanto riguarda la taratura degli strumenti di misurazione (esempio il clororesiduometro) come vi comportate?

Vi ringrazio anticipatamente per la disponibilità.

Andre


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Oggetto: Potabilizzazione dell'acqua mediante cloratore
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Oggetto:

Ciao,

per esperienza è un argomento spinoso. Dipende innanzitutto se l'azienda ha del personale interno addestrato capace di seguire con una certa metodologia e competenza l'aspetto della clorazione oppure se l'azienda ricorre a personale esterno. E' chiaro che nel primo caso potrà seguire con più costanza la clorazione, soprattutto nella fase dello start-up iniziale che per esperienza è quello più problematico.

Tuttavia la clorazione solitamente viene effettuata con ipoclorito di sodio dosato con una pompa volumetrica (il cloratore appunto) che invia un numero di impulsi dosabili a seconda della concentrazione che si vuole ottenere direttamente all'interno di una cisterna. La capacità del serbatoio dovrà essere tale da assicurare un “tempo di contatto” fra acqua e cloro di almeno 30 minuti, affinché il cloro possa svolgere la sua azione battericida, ossidando qualsiasi forma vivente esistente nell’acqua.

L'ipoclorito impiegato deve essere conforme alle norme UNI EN 901:2002.

Da un punto di vista pratico i problemi che si pongono sotto questo aspetto sono sostanzialmente dovuti al fatto che è molto difficile usare costantemente lo stesso numero di impulsi in quanto l'acqua nella cisterna vi stazione per un tempo più o meno lungo a seconda della stagione, giorno della settimana, ora del giorno. Questo crea qualche problema di carettere gestionale soprattutto nelle realtà più piccole che non possiedono risorse interne con le dovute competenze. Si riscia di avere acqua troppo clorata nei momenti di scarso utilizzo, come avviene durante l'inverno, notte, giorni di riposo o giorni "morti" o una scarsa concentrazione di cloro quando vi è un più intenso richiamo di acqua dalle utenze.

L'utilizzo di un clororesiduometro elettronico in grado di comunicare con la pompa dosatrice e di controllare direttamente e in automatico la frequenza di impulso è sicuramente una soluzione consigliata. Per la sua verifica e per quanto riguarda le frequenze dei controlli credo che questo rientri all'interno delle procedure di autocontrollo. Solitamente la frequenza dei controlli analitici (cosiddetti di routine) sono richiesti dalle Autorità competenti con una frequenza prestabilita e conviene pertanto senzaltro interpellarle direttamente. Dalle mie parti si richiede almeno un controllo di routine con i principali parametri chimici e microbiologici almeno ogni tre mesi, per le acque di pozzo. La verifica del corretto funzionamento del clororesiduometro può essere effettuata con un comparatore manuale ovvere un kit da laboratorio instantaneo. Nelle fase iniziali credo che le frequenze dovrebbero essere più frequenti.

Tieni in considerazione che il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001 n. 31, allegato 1, parte c (parametri indicatori), indica un valore minimo consigliato 0,2 mg/l di disinfettante residuo, se impiegato. Detto valore dovrebbe essere inteso al punto di messa a disposizione dell'acqua all'utente.
Dal mio personale punto di vista merita riflettere sulla dicitura se impiegato, lasciando intravedere una non obbligatorietà del trattamento a priori ma sono per potabilizzare un'acqua che altrimenti potabile non è. Ma sono osservazioni personali e sono sicuro che molti clorano anche acque che sono già potabili a ulteriore cautela.

Solitamente la concentrazione di ipoclorito che si trova in commercio è del 12-13% in volume che corrisponde a circa il 10% di cloro attivo.

Le soluzioni commerciali di ipoclorito di sodio usate per la clorazione hanno una percentuale tra il 12 e il 14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la candeggina ne contiene il 5%). Per ottenere un determinato valore al punto di controllo (es. 0,2 ppm), considerando che le soluzioni di ipoclorito perdono spontaneamente il titolo in cloro attivo, devono essere adottati al punto di immissione dosaggi superiori (es. 0,5 ppm).
In questo caso, tenendo conto della diluizione commerciale (10%) occorrerebbe dosare l'additivo a 5 ppm (5 mg/l).

Per quanto riguarda le dosi massime, che io sappia non c'è uniformità.

Da fonti del web si estrapola che:

  • negli USA la normativa stabilisce un residuo massimo di cloro di 4mg/l
  • la Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) indica un residuo massimo di cloro utilizzabile di 5 mg/l, e minimo di 0,5 mg/l dopo almeno 30 minuti di contatto.

Il secondo problema, in realtà legato al primo, è che a seconda della quantità di acqua utilizzata anche con la minima frequenza di impulsi si richia di avere un sovradosaggio percui l'ipoclorito dovrà essere a sua volta diluito.

Anche questa fase prevede una certa competenza e precisione da parte dell'operatore. Bisogna inoltre tenere in considerazione che il cloro è altamente voltatile percui anche lo stoccaggio diventa una fase importante da seguire.

ciao

marco


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