Sagacemente, il legislatore si è tenuto lontano da queste categorizzazioni, limitandosi a stabilire che:
“ Il lievito impiegabile nella panificazione deve essere costituito da cellule in massima parte viventi con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore al 75 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca.” (DPR 502/98)
(“in massima parte viventi” è veramente notevole, quanto a rigore!).
Quanto al termine “lievito naturale” (l'amico Antonio avrà certo le sue buone ragioni per definirlo “non consentito”), a me risulta che venga indifferentemente utilizzato quale sinonimo di “pasta acida” e “lievito madre” (a parte, come detto, l'appeal di quest'ultima versione).
Mi conforta, in ciò, ad esempio:
Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno (Circolare Ministero delle Attività Produttive 22 luglio 2005 pubblicata in G.U. 177, 1.8.05), che per Panettone, Pandoro e Colomba, prescrive: lievito naturale costituito da pasta acida;
A complicare la faccenda, poi, vediamo che, ad esempio nel disciplinare della Coppa ferrarese, coesistono sia il lievito naturale denominato “di madre” che il lievito naturale “di birra”. (In altri disciplinari è possibile trovare ulteriori possibili combinazioni...).
Le etichette di marco896 non fanno altro che esemplificare questa situazione.